Sino al trono di Dio
lanciò mio cor gli accenti,
che in murmure tremendo
rispondono i torrenti,
e da la ferrea calma
de le notti profonde
palma battendo a palma
ogni morto risponde.
D'entusiasmo ho l'anima
albergo; e sol d'un nume
io son cantor: de gli angeli
l'impenetrabil lume
circonda il mio pensiero
ch'erto su lucid'ali
sprezza l'invito altero
de' superbi mortali.
E coronar di laudi
dovrò chi turpe e folle
splendido sol per l'auro
su l'orgoglio s'estolle?
Che dir deggio di lui?
Pria di giustizia il brando
su' forti bracci sui
vada folgoreggiando;
E canterò. Nettarea
da me non cerchi ei lode
se a lutulenta in braccio
sorte tripudia e gode,
e tra un'immensa schiera
d'insania al carro avvinto
scioglie con sua man nera
a iniquitate il cinto.
E tu chi sei che il titolo
santo d'amico usurpi?
e vile d'amicizia
l'aspetto almo deturpi?
Chi sei tu che m'inviti
di gloria a spander raggio
e a sciorre inni graditi
a chi in virtù è selvaggio?
Non sai che santuario
al ver ne l'alma alzai
e che io del vero antistite
sempre d'esser giurai?
Non sai che mercar fama
da tal canto non curo,
e più dolce m'è brama
sul ver posarmi oscuro?
Vero suonò di Davide
il pastoral concento
e a Dio piacque il veridico
suono, e tra cento e cento
l'unse a' popoli ebrei
rege di pace, e adorni
d'illustri eventi e bei
fe' dell' uom giusto i giorni.
E immagine d'obbrobrio
vuoi tu farmi, o profano?
Oh! quell'immonda faccia
copriti con la mano
lungi da me: chi fia
cui faccian forza i detti
ch'io l'alta cetra mia
di ricca peste infetti!
Garrir fole non odemi
l'atrio di adulazione,
e in questa solitudine
da l'aurata prigione
fuggo; esecrando il folle
che blandisce con mèle
il grande; e in sen gli bolle
rancor, invidia, e fiele.
Dunque chi vuol, d'encomio
canti impudente intuoni
per lo tuo eroe; ch'io cantici
fra gli angelici suoni
ergo al Solopossente
che da l'empirea sede
gl'inni in letizia sente
di verità e di fede.