Ugo Foscolo - Opera Omnia >>  A Napoleone Bonaparte liberatore




 

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A BONAPARTE

Io ti dedicava questa Oda quando tu, vinte dodici giornate e venticinque combattimenti, espugnate dieci fortezze, conquistate otto provincie, riportate centocinquanta insegne, quattrocento cannoni e contomila prigionieri, annientati cinque eserciti, disarmato il re sardo, atterrito Ferdinando IV, umiliato Pio VI, rovesciate due antiche repubbliche, e forzato l'imperatore alla tregua, davi pace a' nemici, costituzione alla Italia, e onnipotenza al popolo francese.

Ed ora pur te la dedico non per lusingarti col suono delle tue gesta, ma per mostrarti col paragone la miseria di questa Italia che giustamente aspetta restaurata la libertà da chi primo la fondò.

Possa io intuonare di nuovo il canto della vittoria quando tu tornerai a passare le Alpi, a vedere ed a vincere!

Vero è che, più che della tua lontananza, la nostra rovina è colpa degli uomini guasti dall'antico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poiché la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore, ed è vero pur troppo che il fondatore di una repubblica deve essere un despota, noi e per i tuoi beneficii, e pel tuo Genio che sovrasta tutti gli altri della età nostra siamo in dovere di invocarti, e tu in dovere di soccorrerci, non solo perché partecipi del sangue italiano, e la rivoluzione d'Italia è opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni, e scemò dignità al tuo nome.

E' pare che la tua fortuna, la tua fama e la tua virtù te ne abbiano aperto il campo. Tu stai sopra un seggio donde e col braccio e col senno puoi restituire libertà a noi, prosperità e fede alla tua Repubblica, e pace all'Europa.

Pure né per te glorioso, né per me onesto sarebbe s'io adesso non t'offerissi che versi di laude. Tu se' omai più grande per i tuoi fatti, che per gli altrui detti: né a te quindi s'aggiugnerebbe elogio, né a me altro verrebbe tranne la taccia di adulatore. Onde t'invierò un consiglio, che essendo da te liberamente accolto, mostrerai che non sono sempre insociabili virtù e potenza, e ch'io, quantunque oscurissimo, sono degno di laudarti perché so dirti fermamente la verità.

Uomo tu sei e mortale e nato in tempi ove la universale scelleratezza sommi ostacoli frappone alle magnanime imprese, e potentissimi incitamenti al mal fare. Quindi o il sentimento della tua superiorità, o la conoscenza del comune avvilimento potrebbe trarti forse a cosa che tu stesso abborri. né Cesare prima di passare il Rubicone ambiva alla dittatura del mondo.

Anche negli infelicissimi tempi le grandi rivoluzioni destano feroci petti ed altissimi ingegni. Che se tu aspirando al sommo potere sdegni generosamente i primi, aspirando alla immortalità, il che è più degno delle sublimi anime, rispetterai i secondi. Avrà il nostro secolo un Tacito, il quale commenterà la tua sentenza alla severa posterità.

Salute   
   Genova 5 agghiacciatore anno VIII   [27 novembre 1799].

UGO FOSCOLO   



Dove tu, diva, de l'antica e forte
dominatrice libera del mondo
felice a l'ombra di tue sacre penne,
dove fuggivi, quando ferreo pondo
di dittatoria tirannia le tenne
umil la testa fra servaggio e morte?
Te seguir le risorte
ombre de' Bruti, ai secoli mostrando
alteramente il brando
del padre tinto e dei figliuol nel sangue;
te, o Libertà, se per le gelid'onde
del Danubio e del Reno
gisti fra genti indomite guerriere;
te se raccolse nel sanguineo seno
Britannia, e t'asconda mortifer angue;
te se al furor di mercenarie spade
de l'oceano da le ignote sponde
t'invitar meste, e del tuo nome altere
le americane libere contrade;
o le batave fonti,
o ti furo ricetto
coronati di gel gli elvezii monti;
or che del vero illuminar l'aspetto
non è delitto, or io te, diva, invoco:
scendi, e la lingua e il petto
mi snoda e infiamma di tuo santo foco.

Ma tu de l'alpi da l'aerie cime
al rintronar di trombe e di timballi
Ausonia guati e giù piombi col volo;
anelanti ti sieguono i cavalli
che Palla sferza, e sul latino suolo
Marte furente orme di foco imprime:
odo canto sublime
di mille e mille che vittoria, o morte
da l'italiche porte
giuran brandendo la terribil asta;
e guerrier veggo di fiorente alloro
cinto le bionde chiome
su cui purpuree tremolando vanno
candide azzurre piume; egli al tuo nome
suo brando snuda e abbatte, arde, devasta;
Senno de' suoi corsier governa il morso,
Ardir li 'ncalza, e de' marziali il coro
Genii lo irraggia, e dietro lui si stanno
in aer librate con perpetuo corso
Sorte, Vittoria, e Fama.
Or che fia dunque, o diva?
Onde tal'ira? e qual fato te chiama
a trar tant'armi da straniera riva
su questa un dì reina, or nuda e schiava
Italia, ahi! solo al vituperio viva,
al vituperio che piangendo lava!

E depor le corone in Campidoglio,
e i re in trionfo tributarii e schiavi
Roma già vide, e rovesciati i troni:
re-sacerdoti or con mentite chiavi
di oro ingordi e di sangue, altri Neroni,
grandeggiar mira in usurpato soglio:
siede a destra l'Orgoglio
cinto di stola, e ferri e nappi accoglie
sotto le ricche spoglie,
vendendo il cielo, ai popoli rapite;
sgabello al seggio fanno e fondamento
cataste di frementi
capi co gli occhi ne le trecce involti,
e tepidi cadaveri innocenti,
cui sospiran nel fianco alte ferite
pel fulminar di pontificio labbro;
e misti in pianto e in sangue, atro cemento,
calcati busti e cranii disepolti
fanvi; e lo Inganno di tal soglio è fabbro:
quindi, al Solopossente
la folgore strappata,
eran d'Orto terrore e d'Occidente,
e si pascean di regni e di peccata.
Non più: - Dio disse: e lor possa disparve;
pur ne l'Ausonia ancor egra e acciecata
passeggian truci le adorate larve.

Passeggian truci, e 'l dïadema e il manto
de' boreali Vandali ai nepoti
vestendo, al scettro sposano la croce;
onde il Tevere e l'Arno a te devoti,
Libertà santa dea, cercan la foce
sdegnosamente in suon quasi di pianto;
e la turrita Manto
offre scampo ai tiranni, e il bel Sebeto
irriga mansueto
le al Vesuvio soggette auree campagne
e ricche aduna a usurpator le messi;
abbevera il Ticino
ungari armenti, e l'ospitali arene
non saluta il Panaro in suo cammino;
t'ode gridar oltre le sue montagne
la subalpina donna e l'elmo allaccia
e s'alza e terge i rai nel duol dimessi,
ma le gravano il piè sardo catene,
onde ricade e copresi la faccia;
e le a te care un giorno
città nettunie, or fatte
son di mille Dionisii empio soggiorno:
Liguria avara contro sè combatte;
e l'inerme leon prostrato avventa
ne' suoi le zampe e la coda dibatte
e gli ammolliti abitator spaventa.

Deh! mira, come flagellata a terra
Italia serva immobilmente giace
per disperazïon fatta secura:
or perchè turbi sua dolente pace,
e furor matto e improvida paura
le movi intorno di rapace guerra?
Piaghe immense rinserra
nel cor profondo; a che piagar suo petto,
forse d'invidia oggetto,
per chi suo gemer da lontan non sente?
Ma tu, feroce Dea, non badi e passi,
e a l'armi chiami, a l'armi,
e al tuon de' bronzi e al fulminar tremendo
e a l'ululo guerrier perdonsi i carmi.
Cede Sabaudia, e in alto orribilmente
del tuo giovin Campion splende la lancia;
tutto trema e si prostra anzi i suoi passi,
e l'Aquila real fugge stridendo
ferita ne le penne e ne la pancia.
Gallia intuona e diffonde
di Libertade il nome
e mare e cielo Libertà risponde:
l'Angel di morte per le imbelli chiome
squassa ed ostende coronata testa:
Libertà! grida a le provincie dome,
del Re dei folli Re vendetta è questa.

Del Re dei Re! - Quindi tra il fumo e i lampi
s'involve in sen di tempestosa nube,
che occupa e offusca di Germania il suolo;
donde precorsa da mavorzie tube
balda rivolge e minacciosa il volo
l'Aquila, e ingombra di falangi i campi;
e par che Italia avvampi
di foco e guerra, di ruina e morte:
né spezzar sue ritorte
osa, né armarsi del francese usbergo.
Ma s'affaccia l'Eroe; sieguonlo i prodi
repubblicano in fronte
nome vantando con il sangue scritto;
ecco d'estinti e di feriti un monte,
ecco i schiavi aleman ch'offrono il tergo
e la tricolorata alta bandiera
in man del Duce che in feral conflitto
rampogna, incalza, invita, e in mille modi
passa e vola qual Dio di schiera in schiera:
pur dubbio è marte; ei dove
più de' cavalli l'ugna
nel sangue pesta, e sangue schizza e piove,
e regna morte in più ostinata pugna
co' suoi si scaglia, e la fortuna sfida
guerriero invitto, e tra le fiamme pugna
e vince; e Italia libertade grida.

E del Giove terren l'augel battuto
drizza a l'aere natìo tarpati i vanni
e sotto il manto imperïal si cela:
ma il vincitor lo inceppa, e gli alemanni
colli che borea eternamente gela,
senton lo altero vertice premuto
dal Guerrier cui tributo
offre atterrita dal suo cenno e doma
la pontificia Roma,
dal Guerrier che ad Esperia i lumi terge
e falla ricca de' tuoi puri doni,
o Libertà gran dea,
e l'uom ritorna ne gli antichi dritti
che prepotente tirannia premea.
In vetta a l'Aventin Cesare s'erge
tirannic'ombra rabbuffata e fera,
e mira uscir di Libertà campioni
popoli dal suo ardir vinti e sconfitti,
ond'alza il brando, e cala la visiera ...
Ombra esecranda! torna
sitibonda di soglio
ove lo stuol dei despoti soggiorna
oltre Acheronte a pascerti d'orgoglio:
eroe nel campo, di tiran corona
in premio avesti, or altro eroe ritorna,
vien, vede, vince, e libertà ridona.

Italia, Italia, con eterei rai
su l'orizzonte tuo torna l'aurora
annunziatrice di perpetuo sole;
vedi come s'imporpora e s'indora
tuo ciel nebbioso, e par che si console
de' sacri rami dove a l'ombra stai!
I desolati lai
non odi più di vedove dolenti,
non orfani innocenti
che gridan pane ove non è chi 'l rompa: -
ve' ricomporsi i tuoi vulghi divisi
nel gran Popol che fea
prostrare i re col senno e col valore,
poi l'universo col suo fren reggea;
vedi la consolar guerriera pompa
e gli annali e le leggi e i rostri e il nome!
Come, non più del civil sangue intrisi,
vestonsi i campi di feconde messi
e di spiche alla pace ornan le chiome!
E come benedice
il cittadin villano,
tergendo il fronte, Libertà felice!
Come dovizïanti a l'oceàno
fendon gl'immensi flutti onusti pini,
cui commercio stranier stende la mano
sin da gli americani ultimi fini!

Ma de l'Italia o voi genti future,
me vate udite cui divino infiamma
libero genio e ardor santo del vero:
di Libertà la non mai spenta fiamma
rifulse in Grecia sin al dì che il nero
vapor non surse di passioni impure;
e le mura secure
stettero, e l'armi del superbo Serse
dai liberi disperse
di civico valor fur monumento:
ambizïon da le dorate piume
sanguinosa le mani,
e di argento libidine feroce,
e molli studii, e piacer folli e vani
a libertà cangiar spoglia e costume.
Itale genti, se Virtù suo scudo
su voi non stende, Libertà vi nuoce;
se patrio amor non vi arma d'ardimento,
non di compre falangi, il petto ignudo,
e se furenti modi
dal pacifico tempio
voi non cacciate, e sacerdozie frodi,
sarete un dì a le età misero esempio:
vi guata e freme il regnator vicino
de l'Istro, e anela a farne orrido scempio;
e un sol Liberator dievvi il destino.


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Ugo Foscolo - Opere - Tomo I", edizione diretta da Franco Gavazzeni, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1974







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